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Intervista ad Asia Trambaioli



Asia Trambaioli, studentessa di Scienze Politiche a Bologna e Vice Sindaco del comune di Gaiba.
Uno tra i più radicati luoghi comuni sulle nuove generazioni, è quello che le dipinge essere distanti dal mondo della politica. Asia, invece, va a scardinare questo luogo comune in quanto è impegnata non solo nel mondo della politica, ma riesce anche a stabilire un’interazione maggiore e diretta con il “pubblico” della sua età. Un vero esempio da seguire. 



Asia Trambaioli, 22 anni e da poco più di un anno ricopri l’importante ruolo di vicesindaco del comune di Gaiba. Posso definirti essere stata una “dominatrice” incontrastata delle elezioni comunali del 2019 nel tuo comune. Come è iniziato il tuo impegno civico?
Dominatrice incontrastata fu anche il titolo di un articolo di giornale uscito lo scorso anno, riferito all’elevato e inaspettato numero di preferenze che presi alle elezioni amministrative, e che con questa domanda mi fai allegramente ricordare. Mi chiedi però di fare un passo indietro, cosa che non amo molto fare in generale, ma se si tratta, come in questo caso, di parlare della mia esperienza, seppur per ora breve, lo faccio con piacere.
Verso la fine del periodo adolescenziale che ho sempre considerato e considero tuttora piacevolmente spensierato, poiché maggiormente focalizzato su una irrefrenabile voglia di scoprire il mondo, ma anche e soprattutto pedante e nebbioso, poiché proprio per il suo essere spensierato non ci fa interrogare a sufficienza su ciò che vogliamo fare da adulti, inizio a delineare un percorso, proiettato al futuro, che potesse essere utile alla mia crescita personale, soprattutto cercando di farmi amica di quei piccoli “fiori” che sento nascere dentro me, quali gli interessi, gli obiettivi e le ambizioni, e che scelgo e decido poi di voler coltivare e far sbocciare. Uno di questi, dopo lo sport, è l’impegno civico e l’interesse per l’ambito politico che inizio a maturare in terza Liceo, a 15 anni e mezzo, a seguito di molteplici discorsi stimolanti ed intrapresi, su entrambi gli ambiti, con un mio compagno di classe, all’epoca già attivo in ambito politico e sociale, sentendo da subito svilupparsi in me una forte curiosità e un prorompente desiderio di approfondire il mio tenue sapere. Inizio, da quel momento in poi, a partecipare a riunioni e incontri politici, ad aprire gli occhi su ciò che mi circonda, a cercare di sapere e soprattutto capire più cose possibili. Ad imparare “come se dovessi vivere per sempre”, come disse Ghandi. Spinta dal voler intraprendere un percorso anche politico, poi, inizio a impegnarmi in un partito all’età di 18 anni, ad appassionarmi di conseguenza alla cosiddetta ‘cosa pubblica’, e arrivo infine, lo scorso anno, ad avere la possibilità di affrontare questa entusiasmante esperienza amministrativa da vicesindaco nel mio piccolo Comune, Gaiba, all’età di 21 anni: un percorso che mi sta crescendo responsabilmente e dando modo di occuparmi e prendermi cura di una piccola parte del nostro immenso universo.

Oltre a ricoprire il ruolo di vicesindaco, frequenti l’università e sei anche collaboratrice pubblicista del giornale La Voce di Rovigo. Cosa consiglieresti ai giovani che come te si trovano a dover far conciliare il lavoro, gli impegni istituzionali e lo studio?
Anzitutto consiglio di prendere abbondanti vitamine e sali minerali. Scherzi a parte: premetto che non sono mai stata di indole una persona multitasking o alacre. Ho sempre preferito, infatti, occuparmi di pochi contesti per gestirli al meglio perché così mi hanno sempre insegnato e perché così mi sentivo di fare fino a qualche anno fa. Anzi, ho sempre ammirato chi, prima che iniziassi anch’io a fare lo stesso, è sempre riuscito a conciliare più settori d’interesse contemporaneamente. “Ma come fa?” Pensavo. Poi, crescendo sempre un po’ di più, subentrano nel mio percorso di crescita tutte quelle energie e occasioni che difficilmente riesco a tenere a freno, e che fino ad ora si sono diramate in molti ambiti: specialmente in quello politico/amministrativo, nell’impegno civico e sociale, poi nello sport, nella scrittura, nei viaggi. Da qui inizio a comprendere che è possibile gestire al meglio anche più contesti e avere più obiettivi contemporaneamente, l’importante è dare ad essi il proporzionato spazio e tempo. Sicuramente collimare tutti i miei impegni non è semplice, specie perché in alcuni momenti risulta necessario prendermi qualche breve pausa per ricaricarmi. Sono convinta, tuttavia, che questo non riguardi solo me; alle volte anche solo un impegno può risultare fisicamente e psicologicamente dispendioso alla pari di dieci. Per questo non mi sento di certo una fuoriclasse ad occuparmi di più cose alla volta, e nemmeno aspiro ad esserlo. Semplicemente non amo stare con le mani in mano, preferisco non avere tempo libero che averlo e non sapere dove investirlo. Si presentano anche a me i giorni snervanti, ovviamente, e alle volte come un sasso sulle spalle di una formica, durante i quali mi sento veramente in apnea, ma credo però che fondamentale sia affrontare  tutto ciò che ci conquista e soprattutto ci soddisfa, con passione, impegno e determinazione. La fatica rimarrà così solo un ricordo lontano. Detto questo, però, sostengo che fare delle scelte sia sempre auspicabile, come dare precedenza ad alcuni obiettivi rispetto ad altri e come chiedersi quali siano le reali priorità alle quali bisogna guardare con ragionevolezza e razionalità,  ma credo comunque che in ogni caso il tempo non sia padrone degli obiettivi, al contrario della volontà. Basta organizzarsi al meglio e“senza fretta, ma senza sosta”, citando Goethe.

Cosa pensi riguardo ai pregiudizi che spesso sono rivolti ai giovani quando si dice che questi ultimi non siano più interessati non solo al mondo politico, ma anche e soprattutto al mondo del sociale? Da giovane, ai giovani cosa vorresti consigliare loro per far sì che questo pensiero cambi?
Un po’ non li biasimo quei pregiudizi. Quando iniziai a frequentare riunioni politiche e culturali spesso e volentieri ero l’unica under 30 presente in sala. A distanza di sette anni la situazione non è cambiata, e questo mi ha sempre fatto riflettere tanto. È stato persino paradossalmente difficile trovare qualcuno interessato al mondo politico e sociale all’interno del mio stesso corso universitario di Scienze Politiche, durante i primi due anni. Generalmente, comunque, non tendo a fare di tutta un’erba un fascio. Credo che la colpa non vada attribuita solo ai giovani che faticano ad approcciarsi ai contesti sociali e politici, ma che sia doveroso interrogarsi su quale sia il “difetto” di tali contesti sociali e politici che spingono un giovane a rimanergli distante. In molte occasioni mi ritorna in mente un discorso che mi fece un mio professore del Liceo, uno di quelli che lasciano il segno. Mi disse che dobbiamo creare una metafora tra le tortuosità del nostro cammino interiore e una strada oscurata dalla nebbia. In pratica che se in una strada isolata trovo solo nebbia, la quale provoca malessere e poca visibilità, non sarà così per sempre, ma che ci vuole pazienza poiché gradualmente uscirà il sole, si riuscirà ad osservare il cielo,  si udiranno meglio i rumori del traffico e i cinguettii degli uccelli e si coglieranno con stupore i colori dei fiori che stanno per sbocciare sul ciglio. Può non centrare nulla con quello che sto per dire, ma tendo ad attribuire questo ragionamento alla maggior parte delle situazioni che mi si presentano di fronte e che considero poco chiare, tra cui la questione ultima che hai posto: la lontananza dei giovani dai contesti politici e sociali. In questo caso la strada annebbiata è ciò che alle volte rappresenta il contesto politico e le sue tortuose dinamiche interne ma anche quello che può percepire un giovane quando pensa ad essa o cerca di argomentarla con scarsi risultati finendo per odiarla senza uno spirito ragionevolmente e sufficientemente critico e fondato;  la strada col sole rappresenta, invece, ciò che può fare lui per iniziare a considerare la politica ed il sociale sotto un altro aspetto, partendo prima dal conoscerla, o per lo meno interessarsene, e poi dal dare il suo contributo per migliorarla laddove risulti indispensabile: il mettersi in gioco per evitare di sentirsi antagonista, ma protagonista partecipe del cambiamento che tende spesso ad affidare pigramente ad altri con tante, forse troppe, aspettative. In generale, in un momento in cui la politica allontana il giovane e il giovane allontana la politica, risultano fondamentali da un lato degli stimoli, e di certo non dettati da interventi politici per mezzo social o prorompenti campagne elettorali autoritarie, ma da dialoghi e progetti orientati al futuro; dall’altro una maggiore consapevolezza giovanile che per muovere il mondo bisogna prima muovere se stessi, partendo dal volontariato, dall’impegno civico e, perché no, politico.

Sei una giovane donna impegnata in vari ambiti, cosa ne pensi della cosiddetta discriminazione di genere?
La discriminazione di genere è un tallone di Achille che la modernità ha aiutato a diminuire ma in una piccola, piccolissima parte. Persiste tuttora in vari ambiti, specie in quello familiare e lavorativo. Ed è illogico che in una società come la nostra in cui si progredisce nell’ambito tecnologico, economico, scientifico, non si riesca a progredire nell’ambito più importante che è a mio avviso quello umano. Seppur la nostra Carta Costituzionale riconosce pari dignità ad entrambi i generi in ambito sociale e professionale, le indagini sulla disuguaglianza di genere mostrano che poco è cambiato negli ultimi trent’anni per quanto riguarda, ad esempio, la proporzione di lavoratrici con ruoli dirigenziali (solo meno di un terzo sono donne). O ancora, lo svantaggio occupazionale dovuto alla maternità che è in costante aumento. Bastano solo questi due fattori per fare notare che non si stanno adottando strategie efficaci affinché la discriminazione di genere sparisca. Un ruolo fondamentale qui lo gioca l’educazione scolastica, considerata una delle possibili strade per educare le nuove generazioni ad una maggiore valorizzazione delle differenze di genere, ad una riflessione sui ruoli e sugli stereotipi di genere.  Ma questo non basta: occorre anche una forte imposizione politica, con investimenti nella protezione sociale ed economica per il genere femminile, e forti campagne di sensibilizzazione. Senza questi contributi, poco importano gli obiettivi europei con scadenza a breve termine, che si sa non verranno raggiunti.

Cosa ti auguri per il mondo femminile in un futuro prossimo?
Mi auguro più protezione e supporto al mondo femminile, e non per un futuro prossimo ma a partire da adesso. Mi auguro si arrivi a depennare definitivamente tutti quegli stereotipi che considerano le donne figure da mantenere ai margini della società, soprattutto nell’ambito professionale e familiare. Mi auguro che ogni donna impari a fare i conti con una propria autonomia che deve essere conquistata senza che qualcun altro imponga la propria supremazia in qualsiasi contesto. Ed infine mi auguro, e forse in maniera utopistica, che il  25 novembre non sia più la ricorrenza per ricordare le donne vittime di violenza, ma come il giorno in cui si dichiara che nessuna donna è più stata toccata nemmeno con un dito.

Intervista a Gaia Terzulli



Gaia Terzulli, laureata in Lettere classiche e da sempre appassionata di giornalismo. Ha, per motivi di studio, vissuto prima a Padova, poi a Milano e per un anno a Berlino. Ad oggi, frequenta la Scuola di giornalismo Walter Tobagi a Milano per lavorare al suo più grande sogno: diventare una scrittrice. Un vero onore averti intervistata e aver potuto chiacchierare con te delle tue passioni, dei tuoi sogni e dei tuoi obiettivi futuri.

Gaia, sei laureata in Lettere classiche e a oggi frequenti la Scuola di giornalismo Walter Tobagi a Milano. Diventare un’esperta dell’informazione è sempre stato il tuo sogno?
Sì, fin da bambina. Alle elementari, per raccontare un aneddoto, quando ci chiesero di scrivere su un bigliettino cosa volevamo fare da grandi, io scrissi che volevo diventare una scrittrice. Attualmente sono giornalista praticante, ma il mio sogno è quello di scrivere libri. Il mondo del giornalismo è stato sempre la mia prima scelta anche se, prima di arrivarci, ho fatto anche altre esperienze. Per due anni mi sono dedicata all’insegnamento presso una scuola privata di Milano in attesa di accedere al master in giornalismo. Master che concluderò in autunno e che mi permetterà di sostenere l’esame di abilitazione alla professione. Il giornalismo, a mio avviso, è il mestiere che più consente di creare fili diretti con la società e che permette di porre l’attenzione su tutte le varie realtà che gravitano attorno a noi, anche su quelle poco conosciute.

Oltre al giornalismo so che hai una passione per la cultura tedesca. Da dove e quando nasce questo tuo interesse?
Nasce all’epoca dell’università, precisamente mentre frequentavo la triennale a Padova. Seguivo il corso di Grammatica greca e il docente, che aveva insegnato vari anni in Germania, ci convinse che per conoscere bene la storia dei testi classici era fondamentale conoscere il tedesco. Poi sono andata in Erasmus in Germania, a Berlino, ho frequentato i corsi alla Freie Universität e ci sono ritornata in autunno per scrivere la tesi magistrale. Considero Berlino come la mia seconda casa. Il tedesco è una lingua meravigliosa, anche se molto complessa. Ecco perché la Germania, con le sue mille realtà e la sua cultura sfaccettata, è un universo che pochi conoscono davvero. La passione per la lingua tedesca è un interesse che continuo tuttora a coltivare, un po’ per motivi lavorativi e un po per motivi personali.

Per circa un anno e mezzo hai anche insegnato e ti occupi, tuttora, di didattica a distanza. La DAD, è stata l’unica soluzione possibile per continuare a fare didattica, ma anche un cambiamento che non è stato (del tutto) preparato, meditato e condiviso. Cosa ti auguri, quindi, per il futuro prossimo della scuola?
Mi auguro innanzitutto che si torni in classe il prima possibile. Sono fermamente convinta che la scuola sia il nerbo vitale della società, non solo perché forma teste pensanti, ma perché forma prima di tutto individui. Spero che nel rientrare in classe si usi l’intelligenza, ovvero che si tenga presente che l’interazione, o meglio, la qualità dell’interazione che si crea in presenza tra studenti e insegnanti, è fondamentale e non può essere vanificata. Si potrebbe pensare a forme miste di didattica, dare la possibilità ai ragazzi di trovarsi in luoghi aperti o di appoggiarsi a quelli messi a disposizione da Onlus e associazioni che promuovono interventi educativi diversificati. Non voglio assolutamente “demonizzare” il digitale, anche perché io stessa lavoro moltissimo da remoto, però penso sia un palliativo. Buona l’idea di poter partecipare a webinar con esperti, meno l’idea di continuare a svolgere lezioni, soprattutto di alcune materie, attraverso uno schermo. Si rischia che il risultato finale possa risultare, poi, falsato.

Sei una donna molto impegnata, che ha lottato per raggiungere i propri obiettivi. Hai per lavoro visitato diversi Paesi, hai mai risentito dei divari di genere nel mondo lavorativo dei quali tanto si parla?
No, mai. Sono convinta che il merito faccia la differenza, sebbene sia consapevole che il gap di genere esista e che sia, in alcuni casi, plateale. Le donne lo sanno e fanno bene a farsi sentire. In Germania, per esempio, una volta finito il lockdown, hanno chiesto il riconoscimento economico di tutto il lavoro immane fatto a casa. Hanno dovuto badare alla famiglia e conciliare l’attività domestica con lo smart working, come in Italia. Purtroppo c’è ancora la tendenza a sottovalutare il lavoro svolto dalle donne e io mi sento fortunata a non aver mai risentito del problema. Sono anche convinta che l’impegno e il sacrificio paghino e se si dimostra di volercela fare, ce la si fa. Sempre.

Cosa ti auguri per il mondo femminile da qui a un futuro prossimo?
Mi auguro che sia sempre più consapevole della sua unicità e che, citando Dante, riesca a “non curarsi di loro”, cioè di chi vorrebbe togliergli terreno, ma si concentri nel fare rete. Fare rete fra donne è fondamentale, in quanto si possono creare dialogo, stima, collaborazione e fiducia reciproca. Spero si punti sul veicolare un’immagine di cooperazione e che rimanga sempre salda in tutte noi la consapevolezza che, se la vita continua, è soprattutto grazie alla donna. È lei a dare vita alla vita. Spero che anche in Italia, come sta già succedendo all’estero, si possa riconoscere alla donna ciò che realmente merita.

Intervista a Giusy Massarini



Giusy Massarini, insegnante di danza, coreografa e direttrice della Scuola di Danza “In Punta di Piedi”. Giusy parla della danza come di una disciplina che richiede costanza, passione e dedizione. Il ballo per Giusy è poesia, è vita. Ha lottato contro tutti e tutto per essere dove è oggi e per realizzare il suo sogno. Se dovessi rappresentare Giusy con una citazione, sceglierei quella di Isadora Duncan che recita così: “Esprimere ciò che vi è di più morale, sano e bello: questa è la missione della danzatrice”.

Giusy Massarini, insegnante di danza, coreografa e direttrice della Scuola di Danza "In Punta di Piedi". So che essere un’insegnante è sempre stato ciò che volevi. È stato difficile raggiungere l’obiettivo?
Mentirei se dicessi il contrario, è stato molto difficile raggiungere l‘obiettivo, perché oltre alle difficoltà che normalmente si possono “incontrare” nella “corsa” per realizzare i propri sogni, nel corso della mia vita sono “inciampata” in molti ostacoli. La maggior parte delle persone non credeva infatti che io potessi, data la mia giovane età, riuscire nel mio intento e ancora oggi la stragrande maggioranza di chi mi conosce, non aspetta altro che vedermi “fallire”. Purtroppo per loro sono troppo forte e cocciuta.

Cosa consiglieresti a chi come te, ha un sogno nel cassetto ma ha timore di fallire?
Sicuramente di avere coraggio, il coraggio di continuare a lottare e sperare. Il coraggio di non arrendersi, non mollare, non lasciare che le difficoltà o frustrazioni della vita rovinino ciò che si desidera realizzare. Fallire fa parte della vita, potrebbe succedere a chiunque, ma non dobbiamo lasciare che la paura di perdere ci impedisca di partecipare, altrimenti avremmo perso in partenza. Non sappiamo quanto tempo abbiamo a disposizione durante la nostra vita e dunque per ciò che possiamo dovremmo per lo meno cercare di essere felici giusto? E non mi viene in mente davvero niente di meglio, per essere felici,  che realizzare i propri sogni.

Oltre a te stessa, pensi di dover ringraziare qualcuno per l’essere e l’aver conquistato ciò che sei e hai oggi?
Sì, credo che le persone che maggiormente mi sono state vicino siano senza dubbio i miei familiari. In primis mia madre che, nonostante questa non sia la strada che sperava per me, mi ha comunque affiancata in questi anni, con amore e dedizione. Poi mio padre che per me e per la mia scuola farebbe di tutto e mio fratello, il mio punto di riferimento assoluto. Inoltre sento di dover ringraziare tutti coloro i quali mi hanno sempre seguito e dato fiducia, chi lavora con me, le mie amiche di una vita, i miei allievi che sono ciò che di più bello ho al mondo e i loro genitori che ogni anno mi affidano i loro figli con assoluta fiducia nei miei confronti e mi permettono così di crescere insieme a loro.

Si dice che la danza sia un vero e proprio strumento per svelare la personalità delle persone. Cosa ne pensi a riguardo?
Ci sarebbe tantissimo da dire sulla danza, credo sia il modo migliore per esprimere ciò che si sente. “Fai danzare la tua anima” è una frase che si legge spesso su internet e penso racchiuda ciò che un ballerino prova. Basta ascoltare la musica per iniziare un “viaggio”. Nella mia scuola lavoro molto sulla personalità e su ciò che provano i miei allievi, soprattutto nei corsi con i più grandi cerco insieme a loro di capire, attraverso la nostra arte, i nostri sentimenti e i vari cambiamenti che ci e li accompagnano nelle fasi della crescita.

Sei una donna forte, caparbia con obiettivi ben chiari da raggiungere. Cosa ti auguri per il mondo femminile in un futuro prossimo? Ci sarebbe qualcosa a tuo avviso da cambiare?
Mi sono sempre definita una Mulan piuttosto che una Cenerentola, ho sempre preferito le guerriere alle principesse. Sin da piccola mi chiedevo come fosse possibile che una principessa non facesse nulla per salvarsi, ma solo aspettare di essere salvata dal principe azzurro. Non concepivo e non capisco tutt’ora il ruolo della donna nella società. Certo, abbiamo fatto “passi da gigante”, come la storia ci insegna, ma credo che c’è ancora molto da fare e tanti altri obiettivi da raggiungere. Per un futuro mi auguro di vedere sempre più donne in posizioni di grande rilevanza e credo che, per cambiare ciò che ci circonda, dobbiamo prima cambiare noi stessi; dunque per migliorare la condizione della donna nella nostra società, dovremmo per primi cambiare il nostro modo di pensare ed eliminare del tutto gli stereotipi che, ahimè, ci accompagnano da secoli.