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Ruanda, il voto delle donne

By 17:00


Le presidenziali nel Paese con il più alto numero di deputate al mondo Sono le superstiti del genocidio del 1994 e adesso sognano più potere e parità

Fin da bambina, Clarisse Uwanyirigira sognava di entrare in politica. Si ricorda ancora di quando a quindici anni, di ritorno dalle vacanze estive, trovò una donna a dirigere il consiglio del suo villaggio. Era la prima volta che vedeva una donna in un ruolo di potere. «È lì che ho pensato che tutto fosse possibile per noi», racconta. 

Ora, a ventinove anni, occupa due delle più alte cariche pubbliche a livello nazionale e locale. C’è voluta solo una generazione, quella di Clarisse, perché le donne arrivassero al potere in Ruanda. E il cambiamento è radicale anche per la reputazione del Paese, di colpo diventato campione della parità dei sessi in Africa e nel resto del mondo, come voluto dal presidente uscente Paul Kagame. 

Alla vigilia delle presidenziali di venerdì, la terra dalle mille colline - come è conosciuto il Ruanda - si è tinta di rosso, bianco e blu, i colori del Fronte Patriottico Ruandese di Kagame. La sua propaganda elettorale è ovunque: nelle strade, su cappellini e t-shirt, sulle bandiere che sventolano su macchine e mototaxi. Un po’ meno visibili, ma anche loro in piena campagna elettorale, sono i suoi due avversari: Frank Habineza, leader dell’unico schieramento di opposizione, il Partito Democratico dei Verdi, e l’ex giornalista e candidato indipendente Philippe Mpayimana. 

Kagame, che decide le sorti del Paese dal 2000, è dato vincitore in tutti i sondaggi. L’impresa non sembra impossibile: nelle ultime due elezioni, nel 2003 e nel 2010, ha raccolto più del 90% dei voti. Il suo secondo mandato doveva essere l’ultimo, ma il leader si è ricandidato «a grande richiesta» del popolo, a seguito di un referendum del 2015 che ha modificato i criteri per la rielezione del presidente. La mossa, che ha suscitato forti critiche della comunità internazionale, gli permetterebbe di rimanere in carica fino al 2034. 

Lo slogan «Tora Kagame Paul», vota Kagame Paul, appare su manifesti e cartelloni elettorali in ogni angolo del Paese, e sotto la faccia sorridente del presidente uno dei cinque punti chiave del suo programma fa riferimento alla promozione delle donne. Nei suoi diciassette anni al potere, Kagame ha fatto del Ruanda l’enfant prodige dell’emancipazione femminile nel mondo intero. 

Il successo più evidente è quello della rappresentanza politica: il Paese è stato il primo a raggiungere la maggioranza femminile in parlamento, e ancora oggi ha la percentuale più alta di deputate donne al mondo: più del 60%, contro il 31% italiano. È stato un passo avanti incredibile, rispetto al 10-15% degli Anni 90, prima del genocidio del 1994 in cui persero la vita più di 800.000 persone, la maggioranza di etnia Tutsi. 

«Questo Paese era caratterizzato dall’esclusione, su basi etniche, geografiche e, nonostante se ne parlasse meno, di genere», racconta Angelina Muganza, segretario esecutivo della Commissione Pubblica. 

Le disuguaglianze sociali si sono inasprite durante il colonialismo e hanno continuato a guidare la politica del Paese dopo l’indipendenza, fino alla drammatica frattura del 1994. In una società patriarcale per tradizione, la promozione dei diritti delle donne è stata una conseguenza del genocidio. Una necessità: più del 70% dei sopravvissuti erano donne, diventate da un giorno all’altro i nuovi capifamiglia. 

«Le donne avevano subito violenze da cui erano nati i figli. Ognuna aveva perso qualcosa. Ma dovevamo ricominciare a vivere», ricorda Godeliève Mukasarasi, fondatrice di Sevota, un’organizzazione locale che da anni promuove la collaborazione tra vedove del genocidio e mogli di coloro che lo avevano commesso. È stato così che le vittime hanno dato il via al cambiamento.  

Il primo passo, nel 1999, è stata l’introduzione di una legge di successione che permettesse alle donne di avere gli stessi diritti degli uomini all’eredità. Poi sono arrivati il diritto alla terra, quello alle pari opportunità e a un’equa retribuzione. Nel 2003, la nuova costituzione ha introdotto le quote rosa, destinando alle donne il 30% dei seggi in tutti gli organi governativi. Nelle elezioni legislative che seguirono, le prime dopo il genocidio, le donne ottennero il 48,8%. Nel 2008, con il 56%, fecero sì che il piccolo Paese africano di dieci milioni di abitanti diventasse il primo al mondo con un parlamento a maggioranza femminile. Nonostante gli impareggiati successi, però, tra rappresentanza e potere effettivo continua a esserci un abisso.  

«La sfida più grande è cambiare le attitudini e la mentalità. Abbiamo una bellissima cornice legale, ma tutto continua a essere guidato dalle vecchie norme sociali», spiega Annette Milligan del Ruanda Women’s Network, una Ong locale che si occupa di promuovere salute, educazione e leadership femminile. «Anche per quanto riguarda la rappresentanza, su scala nazionale abbiamo ottimi numeri, ma ci sono ancora tanti problemi a livello locale». 

La settimana scorsa la ventinovenne Clarisse ha organizzato un raduno del Fpr nel villaggio di Rutunga, di cui è segretario esecutivo. Racconta che ad accogliere Kagame c’erano 30 mila persone, 150 automobili, un elicottero e anche qualche cavallo. All’ultimo raduno del presidente, ieri nella capitale Kigali, Clarisse ha fatto parte del protocollo come coordinatrice del Consiglio Nazionale dei Giovani. 

Quando le viene chiesto quale sia il suo sogno, ora che ha realizzato quello che aveva da piccola, risponde senza esitazione «vivere in un Paese governato da Kagame e diventare sindaco di un distretto». Attualmente, su trenta distretti solo cinque sono guidati da donne, una proporzione che riflette la bassa penetrazione femminile nell’amministrazione locale, specialmente nelle zone rurali. Sembra che l’altro sogno sia più facile da realizzare. 


Autori: CATERINA CLERICI, ELEONORE HAMELIN

(fonte: lastampa.it)

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